Alcuni errori tipici di noi coach
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Iniziamo col mettere le cose in chiaro: non esiste un incontro di coaching perfetto. C’è sempre il difetto persiano (sì, sai quel difetto che rende ogni tappeto persiano unico al mondo e perciò meraviglioso?). In ogni incontro di coaching che tengo io stessa, noto sempre qualcosa che avrei potuto dire meglio: una frase troppo lunga, troppo ipotetica, troppo entusiasta, un aggettivo che stentavo a trovare, una provocazione troppo azzardata, una frase detta che sembra di circostanza… Solo che, probabilmente sono solo io ad accorgermene. I miei clienti sono giustamente concentrati sul loro obiettivo che non ci fanno certo caso.
Ecco qui comunque, una lista di errori in cui anche i coach bravi incappano di tanto in tanto. Li elenco per esserne consapevoli e averli sott’occhio e tenerli lontano dalla realtà.
Non tu
Quel coach che crede che senza di lui il cambiamento nel cliente non avverrebbe. Chi lo dice? Forse nel doppio del tempo, forse in anni, ma il successo (come il fallimento) del coachee non dipende certo da noi. In una % di influenza nel processo di coaching, noi coach siamo strumenti del cambiamento e non artefici. Influenziamo il processo di cambiamento per una % sempre meno impattante nel coachee man mano che il tempo insieme passa. Cioè, a inizio percorso, ciò che proponiamo potrà fare la differenza per un buon 50% (forse di più a volte se si tratta di una dritta importante), ma poi, man mano che assistiamo la persona, la nostra percentuale di influenza nel cambiamento del cliente scemerà perché noi vogliamo renderli sempre più indipendenti nella loro crescita e metterci “a lato” (non davanti) nel loro cammino.
Non loro?
Quel coach che non crede veramente nel cambiamento di quella specifica persona. Ahi, ahi, che peccato! Ma che ne sappiamo noi delle potenzialità degli altri? Come dice Matt Haig «Noi siamo sempre più grandi del dolore», così anche i nostri coachee sono sempre più grandi della problematica che portano in sessione con sé. Se tu, io e tutti i coach, counselor, psicologi o professionisti che usano anche il potere della parola per assistere la crescita altrui, crediamo fermamente nelle capacità altrui, ci basterà essere flessibili sui tempi di realizzazione per arrivare a destinazione.
Non tu 2.0
Quel coach che crede che se il coachee fallisce è anche colpa sua. Rassicuriamoci e torniamo al nostro posto: noi siamo strumenti e non co-protagonisti del loro successo. Cerchiamo di essere LO strumento migliore per quel coachee, in quello specifico momento E BASTA! È importante che il coachee capisca che, quando non è con noi, ha tantissimo potere di influenza su di sé: parlandosi, ponendosi domande utili, visualizzando, agendo e sentendosi – per questo – bene! Ecco che questo trasferimento di autonomia e revisione degli strumenti di coaching viene effettuato nella fase di Installazione dell’OMI model.
Non i tuoi contenuti!
Quel coach che suggerisce le proprie convinzioni e valori e vuole condizionare i coachee a fare come lui o lei. Noi non siamo mentori (o almeno non lo siamo in sessione con il coachee ma forse lo siamo sul nostro canale Instagram o in altre sedi come presiedendo un corso dal vivo): in sessione siamo coach, accompagniamo e non suggeriamo soluzioni o convinzioni da adottare o modi di essere. Anche se… Anche se proprio vogliamo suggerire un qualcosa che per noi è lampante, sai come lo facciamo? Con domande guida un po' più mirate del tipo: “e se...?”, “conosci qualcuno che che…?”, “sarebbe possibile…?”
Non quei non
Quel coach che continua imperterrito ad analizzare e che si sofferma troppo sul negativo. Un coach rimasto indietro di 40 anni nel mondo della PNL: quando si era diffuso un errato modo di fare domande (e di usare il Metamodello) per cui si insisteva sull’analisi dello stato emotivo negativo con domande del tipo «E quest’ansia, come ti fa sentire?», «E come ti senti rispetto a questa ansia?», «E questo senso di depressione come ti fa sentire?», «E perché non hai ancora agito finora?». (ahahah!) Ricordiamoci sempre che il nostro primo obiettivo è di accompagnare il coachee da SA a più SD suggeriti da lui o lei.
Non hai capito
Quel coach che si permette di dire «Ah, sì, ho capito perfettamente ciò che intendi», mancando di rispetto alla parte emotiva del cliente. Questo tipo di coach non ascolta veramente, non ascolta letteralmente. Quando ci capita riempiamo con la nostra mappa il territorio del cliente. Inutile dire che è una discesa facile da imboccare per tutti noi, ecco perché essere consapevoli 1. Delle mappe uniche di ciascuno di noi e 2. Della nostra tendenza a generalizzare, cancellare e distorcere (tre categorie del Metamodello) ci permette di rispettare il nostro coachee e ascoltare VERAMENTE letteralmente.
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