Di che orientamento teorico è la vostra scuola? Una domanda legittima, una risposta difficile
Una delle domande che vengono poste alle scuole di coaching nella fase di scelta formativa è: “Qual è il vostro orientamento teorico?” Strategico, umanistico, sistemico, ericksoniano, comportamentale, cognitivo, ontologico, integrato... Le etichette non mancano. E la domanda, in sé, è comprensibile: chi si forma vuole sapere da dove arrivano i modelli che utilizzerà e che tipo di professionista diventerà.
Il problema è che si tratta soprattutto di etichette comunicative più che descrizioni reali della pratica. E, benché di questo le scuole sono consapevoli, tutti sappiamo che è comunque importante fornire ai propri clienti un’idea orientativa per scegliere e distinguersi da altre proposte formative.
Il coaching non è psicologia (e non vuole esserlo)
Provare a definire la propria scuola di coaching attraverso etichette che appartengono a un ambito psicologico è complicato e rischia di confondere il livello della teoria con quello dell’uso. Il coaching non nasce come scuola psicologica. È un’applicazione: un ambito pratico che prende in prestito modelli, concetti e cornici teoriche da discipline diverse per poi lavorare sul cambiamento, sugli obiettivi, sulla consapevolezza e sulla responsabilità personale.
E qui emerge un paradosso: anche gli orientamenti psicologici che oggi consideriamo “chiusi” e definiti sono, in realtà, il frutto di contaminazioni continue.
Nessuna teoria nasce dal nulla: un esempio
La psicologia stessa si è sviluppata per filiazioni, reazioni e integrazioni. Solo per farti un esempio tra mille: la Gestalt ha influenzato Fritz Heider e la sua teoria dell’attribuzione, da lì possiamo rintracciare collegamenti con la riflessione sull’ottimismo e lo stile esplicativo di Martin Seligman.La teoria dell’equilibrio di Heider dialoga, per prossimità concettuale, con la dissonanza cognitiva di Leon Festinger. Non è possibile definire gli orientamenti per compartimenti stagni. Sono trame.
E se questo è vero per la psicologia, lo è ancora di più per il coaching che lavora per risultati.Se proprio dobbiamo parlare di orientamento…
Se fossimo costretti a usare un’etichetta per descrivere l’approccio del CCA Italia, non la cercheremmo in una definizione unica, ma in alcuni principi guida. Giusto per darti un’idea della difficoltà nel definirci:
- Noi diamo grande importanza alla comunicazione, intesa non come tecnica persuasiva, ma come processo di comprensione della realtà, guida emotiva e strumento relazionale,
- La Programmazione Neuro Linguistica (PNL) è presente come studio della struttura dell’esperienza soggettiva, non come insieme di formule da applicare,
- Il pensiero di Gregory Bateson è parte delle fondamenta: livelli logici, contesti, relazione tra mappa e territorio,
- La percezione, i frame interpretativi e l’ascolto attivo sono centrali, anche attraverso contributi come quelli di Marianella Sclavi, Daniel Goleman, Vittorio Gallese,
- Il riferimento ai sistemi complessi ci ricorda che il cambiamento non è mai lineare, né completamente prevedibile,
- E l’analisi comportamentale di abitudini, a partire dall’acronimo ABC, si compenetra con la struttura interna e le submodalità della PNL,
- Infine, ci ritieniamo piuttosto degli utilizzatori di concetti psicologici in funzione delle esigenze portate in sessione. Concetti di autostima, motivazione, convinzioni, oppure formule come quella di Gallwey o di Withmore, servono in funzione dell’assistenza e non a priori nel coaching.
Oltre formule, esercizi e acronimi
Nel modo di intendere il coaching qui al CCA Italia, che sia per Diventare Coach Professionista o per i corsi base o di specializzazione, non esistono strumenti “validi per tutto”, esistono strumenti che si adattano a tre prerequisiti:
- La persona che abbiamo davanti
- La problematica che ci porta in sessione
- Il nostro stile di coaching
Non crediamo in esercizi da applicare a prescindere dalla persona, dal momento e dal contesto. Formiamo coach capaci di osservare, ascoltare, scegliere e adattarsi. Professionisti che sanno cosa stanno facendo, e perché lo stanno facendo.
Forse questo rende più difficile definirci con una sola parola. Ma rende molto più solida la pratica. Quindi, alla domanda “Quale orientamento segue il CCA Italia?” è probabile che faremo riferimento alla concretezza e al concetto che gli orientamenti – se utili al risultato atteso dal coachee – sono tutti funzionali e validi. Ah, certo, invieremo anche alla lettura del presente articolo, eheh!




